Sono trascorsi due anni dall’ultima Pubblicazione della ‘ Guida alle birre d’Italia‘, edita da Slow Food. Nella quinta edizione della “Guida più completa al mondo della birra italiana” sono stati recensiti 512 birrifici, “circa la metà di quelli attivi in Italia”. Pensare che nella prima edizione ne vennero recensiti 141, a dimostrazione di quanto si sia evoluto il mondo brassicolo nel nostro Bel Paese dal 2008.

Tra i 512 birrifici recensiti, anche Il Birrificio Pontino, e tra le oltre 2.600 birre assaggiate ‘La Calavera’ e ‘Orange Poison’ hanno ricevuto il premio ‘Birra quotidiana 2017’ e ‘Grande Birra 2017’, rispettivamente.

Come ogni guida anche l’edizione 2007 “è un’espressione personale, soggettiva, purché sia frutto di un pensiero condiviso, comune a chi la scrive”, raccontano Luca Giaccone e Eugenio Signoroni, curatori della pubblicazione. Secondo Eugenio e Luca, i produttori italiani sono fortunati perchè “non devono sottostare a regole, a tradizioni, a culture che in altri Paesi rischiano di essere bloccanti. Sono liberi di spaziare tra le materie prime, le tecniche produttive, le ispirazioni stilistiche”, convinti che “questa libertà sia una grande ricchezza”. Per questo, sottolineano, che quando assaggiano una birra cercano “di non pensare allo stile di riferimento, di non farsi condizionare dal confronto con i grandi classici, ma invece di ‘leggere’ ogni birra con la stessa libertà che i birrai hanno nel produrla”.

Al di là del premio in sé, fa sempre piacere vedere riconosciuto il lavoro quotidiano dagli addetti ai lavori. Un lavoro che portiamo avanti tra mille difficoltà, economiche e burocratiche soprattutto. Ma un grazie soprattutto a voi, che ci seguite, ci leggete e in primis ci bevete apprezzando le nostre birre, figlie di un attento lavoro di gruppo. Non ci sarà mai premio più grande che vedere i vostri sorrisi soddisfatti dopo aver bevuto una birra del Pontino!

Alla Vostra!

Un lievito selvaggio dalla Patagonia ritenuto “responsabile della fermentazione delle lager”. Una tiratura limitata confinata tra Olanda e Italia, ma presentata con un lancio mondiale che parte da Milano. Una campagna pubblicitaria estiva con Benicio Del Toro protagonista. Veramente un bel pacchetto per la nuova birra della multinazionale olandese fondata da Gerard Adriaan Heineken: H41.

Sui tentativi dell’industria di fingersi craft scrive bene Andrea Turco su Cronache di birra. E poi ancora comunicati, foto, hashtag dedicati #H41 e post su facebook. Le risposte e i commenti di gestori di pub, mastri birrai, appassionati, professionisti del settore e semplici curiosi. Le finalità della grande H vengono per bocca del direttore marketing di Heineken Italia Floris Cobelens: “stiamo lanciando un prodotto nuovo in un mercato attento alle innovazioni nel gusto e in previsione di una commercializzazione globale: nonostante H41 sia un’edizione limitata, continueremo a produrla a seconda dell’accoglienza che riceverà”.

Insomma, questa birra fa parlare di sé ancor prima di essere bevuta. Un plauso dunque ai signori del marketing, che hanno creato più storie per dar vita (o morte a seconda dei punti di vista) a questa lager. E per chi come me–parlo a titolo puramente personale e non a nome del Birrificio Pontino–si occupa di comunicazione in senso lato, questo è forse l’elemento più interessante. Ma in fondo nulla di nuovo sotto il sole da parte della multinazionale che negli anni ha associato il marchio a eventi, concerti, nonché alla signora delle coppe calcistiche. E’ l’industria signore e signori.

Ma noi–e qui parlo a nome del Birrificio Pontino e del mastro birraio–prima di tutto, brassiamo birra, artigianale, viva, craft. Quindi un primo elemento è questo. Il prezzo che pagate in più per la H41 è frutto anche dei milioni di parole e immagini spesi e non tanto per l’utilizzo del nuovo lievito selvaggio scoperto a sud del 41° parallelo. Avete letto bene, proprio quel quarantunesimo parallelo che collega il kiwi giallo della pianura pontina, a quelli delle verdi distese neozelandesi. E che ha dato vita alla quarantunesimo che tanto apprezzate e che per noi è diventata la bollicina da degustare nelle ore dell’aperitivo.

Mi raccomando quindi. Da oggi solo #41esimoparallelo #41parallelo #quarantunesimoparallelo #41farmhouseale del solo e unico #birrificiopontino … Troppi hashtag dite? In effetti. Rispondiamo con ironia al signor H … #K41 sia 😉

Cheers!

Brettanomyces, Pediococcus, Lactobacillus, lievito belga Abbey Ale e malto pale ale … Duco Bonfine. Parole magiche a parte avreste dovuto riconoscere la direzione di questo post già dalle prime tre parole. Per chi ha le mani sporche di malto e luppolo ok, ma per chi non è così addentro?

Si scrive e si parla di microrganismi. Una tempesta di microorganismi lunga sedici mesi e confinata in botti di rovere. Parliamo sempre di birra e in particolare di ‘Flanders Red Ale’, una combinazione di tecnica, tempo e legno, nel nostro caso rovere. Sul perché addentrarsi nelle cavità di una botte per così tanti mesi, beh, diversi motivi. Da una parte il nostro mastro birraio Matteo che vuole provare, sperimentare e cimentarsi con quell’acido che tanto lo attrae. Dall’altra la voglia di dar vita a progetti più lunghi, aprirsi a nuove latitudini, giocare a mixare culture e tradizioni per vedere l’effetto che fa! Tenendo sempre a mente che, come sosteneva Pike Bishop ne ‘Il Mucchio Selvaggio’: “meglio puzzare di cuoio e sudore, piuttosto che di gelsomino impiegato in banca”.

BrettStorming è il frutto di tutto ciò, seminato quasi due anni fa. Per il nostro Matteo, “BrettStorming è la nostra bambina cattiva, la figlia più pericolosa e forse anche la più bella. Sicuramente la più rossa”.

TECNICA
Malto belga e una manciata di luppolo nobile. Prima fermentazione con inoculo di lievito belga Abbey Ale; trasferimento in botti di rovere e inoculo di brettanomiceti, lattobacilli e pediococcus. Un ossequioso e sacrale riposo lungo sedici mesi cadenzati da tempeste di microrganismi.

Dal colore ambrato e rossastro, BrettStorming appare come senza corpo, con una schiuma bianca e evanescente. La spiccata acidità in aroma e al gusto si associa a note di cuoio, legno, frutta rossa e uva bianca, accompagnata da una buona carbonazione finale. Alla ricerca del senso del tempo ci siamo fatti trasportare oltre l’infinito.

SCHEDA
Nome: BrettStorming
Stile: Flanders Red Ale
Alc. 6,8 %
IBU: 15
ebc: 28

Frase in etichetta: “Meglio puzzare di cuoio e sudore, piuttosto che di gelsomino impiegato in banca”. Pike Bishop. (The Wild Bunch – Il Mucchio Selvaggio).

Nell’ultimo post, dove vi raccontiamo del cambio di sede e fornitore, vi avevamo suggerito di tenere i piedi a terra e il luppolo in canna per la nuova birra targata Birrificio Pontino.

L’attesa è finita, perché il 19 febbraio presenteremo ufficialmente HOPMACHINE: un mitra a fiori di luppolo pronto a sparare emozioni per i vostri palati. Con HOPMACHINE siamo andati indietro di oltre un secolo, nel periodo pre-preibizionista statunitense. Caratterizzato, a nostro avviso, da forti cambiamenti e sperimentazioni: due aspetti che stanno segnando anche il nostro presente.

Quattro diverse tecniche di luppolatura — Wort HOP, Continuous Hop, Late HOP (anche nel Whirpool), Dry Hopping — e tre diverse tipologie di luppoli australiani: Topaz, Ella, Galaxy. Seguendo la strada segnata a suo tempo dai brewers statunitensi della costa orientale di origine tedesca a cavallo tra ‘800 e ‘900, siamo partiti da un malto Maris Otter cui abbiamo aggiunto del mais. Questo per dar vita ad una birra di media-alta gradazione, che mantenga la rotondità–per noi essenziale e tipica del malto ‘pale ale’—e dove l’aggiunta del mais serva ad alleggerirne la bevuta. Sono poi i tre luppoli australiani a plasmare un aroma che vuole essere floreale e, in particolare tropicale, con note fresche e speziate tipiche dell’anice stellato.

“Il passato è alle nostre spalle adesso, ora dobbiamo crescere, la strada per l’inferno è davanti a noi.” MIKEY KNOX (Natural Born Killers)

PRESENTAZIONE
HOPMACHINE verrà presentata ufficialmente venerdì 19 febbraio presso i seguenti locali:

  • Birra + – Via del Pigneto 105, Roma.
  • BrewDog Roma – Via delle Terme di Tito 80, Roma.
  • Cheers Pub – Via Neghelli 9, Latina.
  • Old Spirit Authentic Football Pub – Via G. Pizzi 91, San Benedetto del Tronto (AP).

Il 19 febbraio 1881 il Kansas diventa il primo Stato degli Stati Uniti d’America a vietare tutte le bevande alcoliche. Noi del Birrificio Pontino brinderemo con #HOPMACHINE contro ogni proibizione! #hopmachine #birrificiopontino #noproibizioni

WARNING: HOPMACHINE provoca dipendenza! 

PERCORSO e CENNI STORICI per i più curiosi. 
Come vi abbiamo sempre scritto e raccontato, per noi brassare una birra rappresenta un percorso di ricerca intimamente legato al nostro percorso umano e professionale. Non fa eccezione HOPMACHINE, che arriva a inaugurare un nuovo anno e un periodo di cambiamenti. Quindi, per i curiosi che sono arrivati fin qui, alcuni riferimenti storici e motivi che ci hanno spinto a viaggiare nel tempo per dar vita a una birra che potremmo definire per tipologia una Extraordinary Pale Ale.

Storia
L’Emendamento XVIII alla costituzione statunitense — Eighteenth Amendment — che proibisce rendendo illegale la produzione, il trasporto e la vendita di alcolici è del 1917, anno in cui gli Stati Uniti d’America dichiarano guerra alla Germania di Guglielmo II. Nel 1919 l’emendamento viene ratificato in ogni Stato, cambiando di fatto l’intero ciclo produttivo degli alcolici. Storicamente, quindi, il periodo che precede il 1919 è denominato ‘pre-preibizionista’. Noi abbiamo cercato di immergerci in un momento storico caratterizzato da forti cambiamenti, soprattutto sociali, politici e economici, cercando di capire cosa volesse dire pre-preibizionismo nel mondo birraio, andando quindi a carpirne i tratti distintivi e più originali.

Tra il 1830 e il 1848, anno di grandi rivoluzioni in Europa e ricordato oggi come primavera dei popoli, sono in migliaia, soprattutto tedeschi, austriaci e polacchi a trovare rifugio negli Stati Uniti, andando così ad incrementare una comunità già presente e molto attiva nell’arte brassicola. È in quel finire di secolo, lungo l’intera costa orientale statunitense che i mastri birrai tedeschi e statunitensi danno vita ad una diversa modalità di brassare.

In particolare, introducendo l’aggiunta di mais al malto Pale Ale, che fino ad allora aveva contraddistinto una produzione simile a quella dell’ex madre patria. Stando ad alcune fonti storiche, già nel 1857 la produzione di Lager con aggiunta di altri cereali come il mais era riuscita a scalzare quella della più ‘tradizionale’ Pale Ale. Diversi birrai decisero quindi di aggiungere mais e/o altri cereali anche per la produzione di birre Ale per renderne più morbido e fruttato il sapore. L’utilizzo di aggiuntivi facilitava inoltre anche l’imbottigliamento, oltre a ridurre sensibilmente i costi di produzione.

Il 1870 segna per gli storici l’inizio della seconda rivoluzione industriale. La costa orientale del ‘Nuovo Mondo’, da Boston — una sorta di Mecca della birra nazionale — a Baltimora, è un fiorire, anche per la produzione birraia. Nel ventennio 1870-1890 saranno 22 i nuovi birrifici che si aggiungono ai cinque maggiori già presenti nella sola Boston. Nello Stato del Delaware, schiacciato tra Maryland e New Jersey, saranno altri marchi, come John Hartmann and John Fehrenbach, e diversi birrai tedeschi a dar vita ad una produzione in continua evoluzione.

A cavallo tra i due secoli la gran parte dei birrifici della costa est statunitense è in mano a birrai di origine tedesca, il cui obiettivo resta sempre lo stesso: brassare una birra dal sapore pieno e ben luppolata e che risponda alle esigenze dei gusti di una società in continuo cambiamento. Successivamente, proibizionismo e primo conflitto mondiale non aiuteranno la comunità tedesco/statunitense. Tredici anni di negazione e produzione clandestina, associati anche ad una crisi sociale e politica, esplosa con le rivolte del 1920, avrebbero fortemente influenzato anche la crescente produzione birraia statunitense.

SCHEDA 
Nome: HOPMACHINE
Alc. 7%
Luppoli: Topaz, Ella, Galaxy.
Malto: Maris Otter (pale ale) + Mais
Tipologia: Extraordinary Pale Ale
IBU: 100
Frase in etichetta: “Il passato è alle nostre spalle adesso, ora dobbiamo crescere, la strada per l’inferno è davanti a noi.” MIKEY KNOX (Natural Born Killers)

TECNICHE USATE
Mash: tecniche pre-proibizioniste, utilizzando mais in aggiunta a malto Maris Otter per alleggerire la bevuta.
Luppolatura: Wort HOP, Continuous Hop, Late HOP (anche nel Whirpool), Dry Hopping.

Eccoci qui.
Novità in arrivo? Lo sapete che non stiamo mai fermi. Sempre in fermento come si suol dire. Avevamo salutato il 2015 accennandovi al cambio di sede, qualche foto è apparsa sulla nostra pagina di Faccialibro e qualcuno ci è già venuto a trovare. Il cambio di sede è stata una scelta ben ponderata e voluta a fronte di un ulteriore investimento da parte nostra per diversi motivi. Primo fra tutti, innalzare il livello qualitativo del nostro lavoro e delle nostre birre. In una sede più ampia e strutturata che garantisca al meglio ogni standard, anche di sicurezza per noi che trascorriamo diverse ore nel birrificio. L’obiettivo, inoltre, è anche un altro: dedicare uno spazio per esposizioni, degustazioni e eventi. Questo perché la pianura pontina è il nostro territorio e maggiore vuole essere il contatto diretto con appassionati, estimatori e curiosi, per dar vita ad uno scambio che per noi è l’essenza di ogni cosa.

In questa fase di ristrutturazione, anche uno sguardo alla logistica. Da oggi, infatti, le birre con marchio Birrificio Pontino non saranno più distribuite da Domus Birrae srl, ma da Roma Horeca Service. Un ringraziamento agli amici del Domus che ci hanno affiancato in questi tre anni.

Ma le novità non sono finite qui. Piedi per terra e luppolo in canna. Questa nuova fase non poteva non essere inaugurata con una nuova idea del nostro mastro birraio, che si è immerso nel periodo pre-preibizionista per brassare una birra con quattro tecniche di luppolatura. Ne volete sapere di più, lo so. Per ora sappiate che ad oggi manca solo l’etichetta. Quindi a breve tra le vostre mani.

Stay tuned!

Siete pronti a vivere una stagione con noi? Guarda che l’anno è iniziato già da qualche settimana, l’inverno già da un mese e la stagione per noi che beviamo non finisce mai. Così come per voi che ci fate bere.
Avete ragione devo essere più preciso: siete pronti a buttarvi in piscina insieme ai ragazzi della Latina Pallanuoto per vivere il campionato nazionale di Serie B?

Amiche e amici, amanti della #birraviva e dello Sport, da sabato 23 gennaio e per tutte le partite casalinghe della Latina Pallanuoto il Birrificio Pontino sarà in piscina con le sue birre e con tutto il fiato in gola per esultare ad ogni azione dei nostri tredici gladiatori. Sul quinto tempo, visto che la partita di pallanuoto ne ha quattro, ci stiamo lavorando.

Quando il nostro amico Roberto, coach della Latina Pallanuoto, ci ha chiesto se volevamo essere tra gli sponsor della squadra non ci abbiamo pensato un attimo. Passione e Amicizia! Su queste solide basi siamo nati e cresciuti. Su queste stesse vogliamo continuare.

Vi aspettiamo in piscina e un brindisi alla Latina Pallanuoto.

Cheers!

L’anno solare è in chiusura. E’ tempo di brindisi, ringraziamenti e saluti ad amici, amiche, colleghi e colleghe. Saluti e abbracci che vi mandiamo dalla nostra nuova casa. Sì, perché nel frattempo ci siamo accollati anche un trasloco e abbiamo cambiato casa dall’ultima volta che vi abbiamo scritto: ampia, spaziosa, luminosa e soprattutto meno fredda 😉 Pronta ad aprire le porte e accogliervi con novità che non mancheremo di annunciarvi nel corso del 2016. Gli inquilini, purtroppo per voi, sono sempre gli stessi: Egidio, Davide, Gabriele, Matteo, Umberto e Stefano. Così come le nostre birre, il nostro marchio, il nostro stile e la nostra storia.

In questo 2015 numerosi gli eventi e le trasferte: come quando le nostre birre sono volate tra Amsterdam e Londra; la collaborazione con la Birreria Eataly di Roma che ha dato vita a ‘La Beffa’, accompagnata dall’arrivo di ‘Mosquito Pale Ale’ e ‘Italian Wit Project’ in apertura della stagione estiva; centinaia di kiwi del nostro territorio sbucciati per la ‘41° Parallelo’ e more a go go per la ‘More Uxorio’. Zucche per una ‘Orange Poison‘, che quest anno ha superato sé stessa, hanno invece aperto le danze delle streghe.

Insomma, solita vita da birrai, tra incontri, bevute, brindisi, ricorrenze da festeggiare, scadenze, pagamenti, conti da sistemare, tensioni da alleggerire, incomprensioni da chiarire e sperimentazioni da valutare. L’atterraggio in GDO è una di queste ad esempio. Problemi che colpiscono uno ma che sentiamo anche nostri. Il riferimento è a quanto recentemente accaduto agli amici e colleghi di Luppolo Station (potete leggere qui e anche qui).

Dubbi che difficilmente troveranno una risposta: siamo cresciuti troppo con l’età o stiamo perdendo quel senso di forza e vicinanza che sentivamo più forte quando tutto è iniziato? Le tensioni, le divisioni, dettate anche dalle paure economico-commerciali ci rendono più deboli, fino a mostrare il fianco al nemico, come le multinazionali appunto, che si permettono di essere arroganti e incuranti di ogni cosa. Noi abbiamo sempre pensato alle differenze come qualcosa di arricchente, e non fonte di divisioni e di scontri, che in alcuni casi abbiamo pagato sulla nostra pelle. Sarà che veniamo da una pianura pontina che si fonde e si confonde con il parco nazionale del Circeo dove la natura fluisce e si arricchisce. E non dai sette colli di Roma, il cui mito fondativo nasce da un fratricidio.

Oggi abbiamo quattro anni. Noi naturalmente ci auguriamo di crescere ancora, di fare tutto il ciclo scolastico e diventare maggiorenni, custodendo sempre con cura quello spirito che ci ha spinti a brassare. Vogliamo dire grazie al 2015 con gli amici e i colleghi di sempre e con loro, nuovi amici e amiche, salutare il 2016.

Salute! Cheers and happy new year dal vostro caro Birrificio Pontino.

Il Birrificio Pontino ha scelto di mettere le sue birre anche sugli scaffali di alcuni supermercati del cibo e del bere. In particolare su quelli di Eataly Roma e di alcuni punti vendita di Carrefour della nostra regione. Qualcuno ci chiama per complimentarsi, altri per avvisarci che le nostre birre sono su quegli scaffali comunicandoci prezzi e curiosità. Nel mare magnum di commenti, anche coloro che mal digeriscono l’associazione birra artigianale – grande distribuzione organizzata. Insomma, un fiume di opinioni e pensieri che abbiamo deciso di voler indagare e approfondire. L’argomento, infatti, ci interessa: sia da produttori che da consumatori. E così abbiamo deciso di non mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, ma cercare di capire e creare un momento di incontro e confronto con voi: consumatori, produttori, appassionati, lettori, giornalisti, blogger.

L’obiettivo è quello di affrontare da diversi punti di vista un tema tanto chiacchierato e commentato, quanto delicato e spinoso da affrontare. Sia ben chiaro, qui non cerchiamo di affermare ragioni, che siano le nostre o le vostre, ma di allargare un confronto, reale e condiviso. Del resto non siamo una multinazionale che cerca di imporre le scelte dei consumatori, ma un birrificio, un piccolo birrificio nato nella pianura pontina, che cerca di dar vita a una birra, che abbia un particolare stile e un profilo ben pronunciato: il nostro.

Partiamo da una chiara e sintetica considerazione. Abbiamo iniziato a produrre birra artigianale perché volevamo dar vita a qualcosa di nostro e strettamente legato al territorio che viviamo. Per continuare a farlo è necessario vendere. E per vendere pensiamo di dover raggiungere un numero di clienti potenziali molto alto. Anche perché, come spiegava Terzaghi di AssoBirra già nel giugno dello scorso anno, «se tu produci 200 ettolitri e sei anche bravo, riuscendo a venderla a 5-6 euro al litro, con un fatturato di 100-120 mila euro annui non paghi neanche l’ammortamento dell’investimento iniziale, considerando che questo ammonta almeno a 200 mila euro». Tanto per dare dei numeri.

Il dibattito potrebbe partire già dalla denominazione: artigianale o non artigianale? Secondo Teo Musso: «L’ultima multa che ho preso, da 6 mila euro, è per aver scritto birra naturale sull’etichetta – ha spiegato. Perché in Italia, dopo la parola birra si può scrivere soltanto analcolica, leggera, normale, speciale o doppio malto. Ho sottoposto più volte a chi di competenza il problema che c’è nella legislazione in materia. Eppure ci vorrebbe poco ad individuare chiaramente chi può produrre birra artigianale». Poi Musso ha lanciato l’idea di un marchio nuovo: «Vorrei che si chiamasse “birra viva”: un messaggio facilmente comprensibile per un prodotto italiano, non pastorizzato, non microfiltrato. Diverso da quei cadaveri che si trovano in bottiglia».

Quella della denominazione è sicuramente questione interessante e che secondo noi è strettamente connessa al tema del post ma, almeno per ora, meglio tralasciare, con la promessa che verrà affrontata in futuro. Torniamo quindi al nostro dibattito: birre artigianali e GDO (Grande Distribuzione Organizzata) , provando a tracciare in modo sintetico alcuni punti positivi e altri meno.

Produzione. Per quanto ci riguarda, la nostra produzione resta sempre la stessa. Sia se venduta alla GDO, sia ad altri, proponiamo sempre lo stesso prodotto, nome ed etichetta compresa.

Prezzo. Il prezzo per il consumatore finale che acquista al supermercato è leggermente più basso. Un vantaggio per il cliente e per noi, che come strategia commerciale abbiamo scelto di vederci garantiti gli acquisti per un numero preciso di mesi. Una base da cui partire che ci da anche la possibilità di programmare e soprattutto di sperimentare. Per sperimentazione intendiamo provare a brassare nuove birre e nuovi prodotti. Tutto questo naturalmente ha un costo che noi dobbiamo affrontare e calcolare. Dedicare una parte della nostra produzione per la GDO, per ora, ci garantisce la possibilità di programmare meglio. Riteniamo, infatti, commercialmente utile poter allargare i nostri canali di distribuzione in questo senso. In un anno noi siamo in grado di produrre X litri di birra che può variare, con l’impianto attuale, solo se ad aumentare è un numero Y di cotte, mantenendo quindi invariato l’utilizzo di prodotti che per noi ormai si associano al gusto delle nostre birre. Il processo produttivo e l’utilizzo delle materie prime non cambia. Altra domanda che sembra ricorrere quando si parla di prezzi e GDO: la GDO può servire a calmierare i prezzi?

Conservazione/trasporto. Ovvero, esposizione alla luce, temperature, etc. Questa è forse la critica maggiore a essere sollevata quando si parla di birre artigianali che approdano sulla GDO. Il punto critico qui è rappresentato dalla capacità di un singolo birrificio di poter gestire determinate procedure. Ma siamo onesti, da soli non ce la potremmo mai fare a controllare i sistemi di trasporto e conservazione delle nostre birre. Fidandoci, in questo senso, del committente. Ma poniamoci una domanda: siamo sicuri che i vari beershop, pub e/o punti vendita dedicati siano in grado di gestire bene la conservazione? Noi ci affidiamo ad un distributore, che ci da garanzia sul trasporto e sulla qualità del pub dove la nostra birra arriva. Lo facciamo sulla fiducia e recandoci personalmente nei singoli pub dove la nostra birra viene venduta per valutare insieme lo ‘stato dei lavori’. Tempo che noi dedichiamo. Tempo che rappresenta costi. Ma questa è la nostra scelta e così abbiamo deciso di lavorare. Poi accade che un locale si lamenti perché alcune birre non vanno in termini di spillatura e gusto. Tu gli chiedi se hanno rispettato procedure e indicazioni ampiamente fornitegli. E poi ti portano dove tengono i fusti, che non è più il luogo che ti avevano mostrato all’inizio. Stesso posto per inverno ed estate, ovvero temperatura perfetta per i mesi freddi, oltre i 35 gradi nei mesi estivi. Allora provi a parlargli, a spiegare. Così ti confessano che non hanno la possibilità economica per attrezzarsi per due locali di conservazione dei fusti. E allora in quel caso che si fa? Noi abbiamo deciso di non vendergli più la nostra birra. Una scelta non facile per un birrificio che vuole affermarsi anche sul proprio territorio. Ma se il pub non ci garantisce certi standard, meglio evitare. Di fondo, però, questo apre ad un altro capitolo che andrebbe discusso: la consapevolezza del consumatore. Ma torniamo a noi: qualcuno sostiene che chi vende ai pub/beershop e anche alla GDO vuol tenere il piede in due scarpe. Forse è questo il nodo cruciale per molti di voi. Aiutateci a capire.

Vi chiediamo di commentare, di scriverci ed esprimere la vostra opinione. Lo potete fare di seguito al post aggiungendo i due hashtag #birraartigianale #GDO 

Per quanto ci riguarda non abbiamo dubbi: prima la birra e la sua idea. Poi, la sua etichetta, che in ogni caso da un volto alla bottiglia e al birrificio nel suo insieme.

I motivi che danno vita ad una birra possono essere diversi. Dalle prime con cui abbiamo caratterizzato il nostro profilo e stile, ad altre che sono figlie di scelte commerciali, passando per legami di profonda amicizia. E poi c’è la vita reale, fatta di lavoro, condivisione, festa e amicizia. Un mix esplosivo che si concretizza nelle scelte degli ingredienti e nella creatività delle nostre etichette. Che per noi devono esprimere entrambe un messaggio forte e chiaro. Spesso associato a scelte musicali o cinematografiche.

Tecnicamente, una volta che abbiamo l’idea ne parliamo con Stefano ‘Zanna’, il nostro grafico. Zanna lavora sulla struttura grafica che ha ideato l’altro grande amico del birrificio: Ascanio. Ideatore e fautore di molte etichette che voi oggi apprezzate. Senza dimenticare le prime etichette di Runner Ale e Olim Palus, che portano il nome di Gianni, uno dei fondatori del birrificio. Quello della Runner Ale, la nostra prima birra, è un caso particolare. Gianni aveva inizialmente preso ispirazione da un’opera di Filippo Tommaso Marinetti per raccontare “la nostra corsa verso il futuro”. Poi, il concetto grafico è cambiato fino ad arrivare a quello attuale ideato da Ascanio.

In ogni caso, l’immagine arriva dopo l’idea di birra. Ma entrambe sono figlie di un legame di forte coesione tra noi e gli amici del birrificio, in un groviglio di relazioni umane che sono l’humus da cui partire. Come la Snow Blind, che prende vita dall’amicizia con Piergiorgio Trionfi dell’Old Spirit Authentic Football Pub di San Benedetto del Tronto. Un calciatore d’altri tempi con i colori della sambenedettese in un campo innevato ci è sembrata l’immagine perfetta per questa blanche, che vi consigliamo di degustare sulle note dei Black Sabbath.

Geografico è invece il legame che da vita alla 41° parallelo, nata con l’aggiunta di kiwi giallo dell’agro pontino. Una produzione, quella del frutto, che ha da tempo superato l’originaria Made in New Zeland. Pianura pontina e Nuova Zelanda: entrambe attraversate dal 41° parallelo, nord e sud rispettivamente. In etichetta ritroviamo quindi quell’Apteryx australis, un genere di uccello inadatto al volo e noto comunemente come Kiwi. In questo caso particolare è lì calmo e pacioso a beccare i brettanomiceti, che utilizziamo per questa birra dalla schiuma leggera e bianchissima e di colore giallo brillante.

Una delle ultime arrivate, come ad esempio la Italian Wit Project, ha un ciclo ben chiaro e definito, almeno per noi. Nasce dall’idea di avere tra le nostre birre, una belga bianca, fresca, che non fosse caratterizzata da quell’amaro che tanto ci contraddistingue e caratterizza. Una birra fresca e speziata che abbiamo sempre cercato, dove poter utilizzare anche lieviti con cui non avevamo mai lavorato prima. Se la speziatura arriva da prodotti del nostro territorio, sul nome abbiamo giocato per assonanze.

Il passaggio da un ‘progetto di birra Wit’–che in futuro possa essere brassata con ogni singolo prodotto nato dal nostro territorio— a The Blair Witch Project project, film del 1999 che tanto ci aveva colpito quando avevamo ancora capelli lunghi e colorati, è un lungo percorso di risate, battute, scherzi e brindisi al Cheers pub di Latina. Quelle serate senza tempo trascorso con un braccio al bancone e una mano ad accarezzare le nostre figlie. Alla Wit si lega quindi quel cinema che tanto amiamo e con cui siamo cresciuti. In questo caso la paura di un progetto a lungo termine trova la sua migliore ispirazione dalle parole del maestro dell’horror, Alfred Joseph Hitchcock: “C’è qualcosa di più importante della logica, l’IMMAGINAZIONE”.

Potremmo dilungarci per ore. Ogni birra ha una sua storia, così come ogni singola etichetta. Quel che vogliamo da sempre è raccontare il nostro territorio e la nostra idea di birra, attraverso le esperienze che ci hanno caratterizzato nella nostra crescita personale e di gruppo. Ogni cosa ci deve raccontare, perché nella nostra birra ci mettiamo prima di tutto noi stessi e quello che siamo oggi. “Se la palla l’abbiamo noi, gli altri non possono segnare“(cit. NL).

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Dopo il lungo inverno freddo e umido, trascorso tra cotte e geloni, finalmente è arrivata lei: la primavera. Una primavera che ci scalda gli animi e porta con sé nuove idee e fermentazioni. Se non ve ne siete accorti, da quel 21 marzo, equinozio di primavera, al 21 aprile, giorno in cui si festeggia la fondazione di Roma, noi del Birrificio Pontino abbiamo salutato il nuovo Sole con tre nuove birre artigianali.

La prima, ‘La Beffa’, nasce dalla collaborazione con Davide Frosali, il birraio della Birreria Eataly di Roma. Insieme abbiamo dato vita ad una bitter dichiaratamente anglosassone, ricorrendo a dry hopping con luppolo Target. Il risultato è una birra leggera con una gradazione intorno ai 4,2% alc. Dare vita ad un birra, per noi è dare vita ad una storia. E nel caso de La Beffa, la storia ce la regalano Franca Tazio e Paolo Farinetti, padre di Oscar, il fondatore di Eataly.

Una storia d’altri tempi e chi riporta la memoria a settant’anni fa, quando Franca Tazio, classe 1924, era staffetta partigiana della Brigata Matteotti ‘Fratelli Ambrogio’, comandata proprio da Paolo Farinetti. La mattina del 13 febbraio del 1944, Franca (col suo vero nome era conosciuta dai partigiani) viene raggiunta, ammanettata e portata in strada da due repubblichini, per poi essere condotta nelle vecchie carceri di Alba, dove subirà atroci torture per giorni. Fin quando capisce che la sua condanna a morte è segnata. «Devo confessarti», le dice un sacerdote. «Il 3 marzo del 1944 seppi che l’esecuzione era fissata per il giorno successivo», racconta Franca.

Poi l’emozione. «Alle cinque ero in attesa della sesta ora, quando sentii battere al portone del carcere. Seguì un gran trambusto. Fui presa dalla paura. Sentivo gridare e correre per le scale e i corridoi. La porta fu aperta violentemente e mi trovai di fronte Paolo Farinetti e Maggiore Boasso. Mi trascinarono fuori di peso. Prendemmo la strada per Barbaresco. Si sentiva l’eco degli spari. La fuga era già stata divulgata … ». Era la libertà. In quel di Alba l’azione ideata e condotta da Paolo, e che portò alla liberazione di Franca e altri sedici partigiani, è ricordata, appunto, come ‘la beffa delle carceri’.

La seconda, più che una semplice birra, vuole essere un obiettivo, un progetto, come dichiariamo già nel nome: ‘Italian Wit Project’. Streghe e stregoni stiano tranquilli. Non facciamo pozioni, ma solo magie condite dalle spezie del nostro territorio: arance bionde dell’agro pontino, coriandolo di Monte San Biagio, liquirizia dei Monti Lepini, pepe rosa e fiori di eucalipto dei loro alberi. Siamo partiti dalle spezie a noi vicine per incamminarci su una strada che ci porterà a brassare una birra al cento per cento locale, legata ad un territorio che non superi i confini della nostra regione.

Se la crescita del luppolo è già una realtà, ammettiamo che la difficoltà maggiore, almeno per ora, ruoti intorno ai lieviti. Ma non disperate, perché il mastro e tutta la banda sono a lavoro da tempo. Per ora godetevi un sorso di questa bianca belga da 5,3% alc. arricchita dalle spezie da noi selezionate e miscelate. E ricordate sempre che “c’è qualcosa di più importante della logica: l’immaginazione” [Alfred Hitchcock]

Se la primavera annuncia l’estate, non poteva mancare una birra oro carico che brillasse alla luce del sole e che ci dissetasse nelle calde e umide giornate a riveder le stelle. Ed è proprio dal dolce e caldo risveglio delle Paludi Pontine che prende forma la ‘Mosquito Pale Ale’. Con la sua schiuma bianca e compatta, la Mosquito, il cui volto richiama il mostro della laguna nera, è una Pale Ale dichiarata che va giù dritta senza tanti giri di parole. L’aroma ha una nota erbacea leggera e gradevole, mentre in bocca è la dolcezza del malto a colpire, bilanciata dai luppoli chinook e mouteka. Morbida al palato, corpo medio leggero e una carbonazione rinfrescante che mettono sete ancor prima di berla.

A voi la scelta.

Ve l’avevo già detto che potete seguirci sulla nostra pagina all’interno di Facebook? Come sempre, un saluto dal Pontino e state alluppolati su questi canali. Qui tutte le descrizioni delle nostre Birre artigianali.

Aggiornamento: Taproom per degustazione e vendita. Da aprile 2020 puoi ACQUISTARE le nostre birre artigianali online.